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CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO

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Convegno “La vera legalità – Dal ’38 ad ottant’anni dall’emanazione dei provvedimenti per la tutela della razza” (Roma, 24 gennaio 2018)

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24/01/2018

Nazionale

Si svolge oggi a Roma – nella Sala Capitolare presso il Chiostro del Convento di Santa Maria Sopra Minerva – il Convegno “La vera legalità – Dal ’38 ad ottant’anni dall’emanazione dei provvedimenti per la tutela della razza” promosso dall’Unione delle Comunità Ebraiche in Italia e dal Comitato di Coordinamento per le Celebrazioni in Ricordo della Shoah assieme alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

L’evento vuole rappresentare un momento di riflessione sulle responsabilità del regime fascista e di chi all’interno di quel sistema sociale culturale e normativo ha trovato legittimazione ad agire. Ad ottant’anni dall’emanazione delle leggi del ’38 sulla tutela della razza, e settant’anni dall’approvazione della Costituzione repubblicana, si vuole esaminare le corresponsabilità di varia natura – legali, morali, storiche – di istituzioni e cariche nell’emanazione, esecuzione e applicazione delle leggi e dei provvedimenti conseguenti. Quali i presupposti e gli esiti processuali. Qual è la consapevolezza in seno alle istituzioni di oggi di quanto avvenuto ieri e qual è il quadro etico complessivo delle norme e delle responsabilità da conoscere e riconoscere rispetto alla propria missione istituzionale.

Al Convegno ha partecipato anche il Presidente del Consiglio Nazionale del Notariato, Salvatore Lombardo, con l’intervento di cui riportiamo di seguito il testo: 

“Siamo qui per ricordare e non dimenticare e per fornire, in primis alle nuove generazioni, la consapevolezza che quanto accaduto non debba mai più ripetersi.

Parlo a nome di tutti i notai d’Italia, in quanto la stessa categoria è stata colpita dalle leggi razziali del ’38 e in particolare dalla pubblicazione il 2 agosto 1939 del decreto n° 179 con cui ai cittadini ebrei vengono precluse molte professioni tra cui quella di notaio.

Leggi che proibirono a cittadini italiani di origine ebraica di godere di una serie di diritti fondamentali per la vita di ciascun individuo e che li privarono della certezza più importante che avevano riconosciuta al tempo, quella di essere italiani, paese per il quale molti di loro avevano in precedenza combattuto per difenderne i confini e la territorialità.

Parto da un numero recuperato dal Rapporto Generale della Commissione Anselmi, 14. Il numero di colleghi ebrei che in seguito alle leggi razziali dovettero lasciare la professione. Non abbiamo invece contezza di quanti colleghi rifiutarono di aderire negli anni precedenti al partito fascista o di giurare in favore del regime, con le conseguenze che questa azione avrebbe comportato.

Leggi contro cittadini di religione ebraica si susseguirono nel corso dei successivi anni con l’intento chiaro di sequestrare tutti i beni mobili e immobili appartenenti alle famiglie. Nel ‘39 con riferimento all’articolo concernente i limiti di proprietà di aziende e beni immobili, il ministro di Grazia e giustizia ordinò ai notai di “astenersi fino nuova disposizione” dallo stipulare qualsiasi atto di acquisto o vendita delle suddette proprietà da parte di persone “di razza ebraica”.

Ma diverse furono le iniziative, soprattutto prima del’39, per difendere e tutelare diritti e patrimoni di famiglie ebraiche.

Un negozio giuridico, la società anonima, fu l’esempio legale che permise a molte famiglie di conservare il patrimonio. Furono molteplici e in forte crescita i casi di trasformazione e ristrutturazione più o meno fittizia di ditte e società e lo stesso Regime e la magistratura pur adoperandosi non riuscirono in quegli anni realmente a capire chi si nascondeva dietro la proprietà di ditte e imprese.

Simon Wiesenthal nel libro “I girasoli” ci ricorda che nell’etica ebraica non si può perdonare per conto di altri, cioè per un male che è stato fatto ad altri e non a sé stessi. E perché la vera comprensione, con tutte le implicazioni storiche e morali che questa comporta, di ciò che è successo e di ciò che è stato commesso e patito, si ha solo se si sceglie non la più facile strada del dolore per le vittime, ma quella ben più difficile e autenticamente impegnativa del riconoscimento delle responsabilità e delle colpe di chi il male lo ha commesso, dai carnefici sino a chi ha silenziosamente voltato la testa per non vedere. 

Non potendo quindi chiedere perdono a nome mio e dei colleghi che rappresento per opere o malefatte commesse al tempo, mi impegno, se la Comunità lo riterrà opportuno, a ricostruire insieme a voi il comportamento tenuto dalla nostra categoria.

Ma oggi siamo qui anche per ricordare e trasmettere, per quanto possibile alle nuove generazioni, degli insegnamenti.

Nel 2012 – in occasione dei festeggiamenti per i 150 anni dell’unità d’Italia – abbiamo ideato e allestito in diverse città italiane (Roma, Modena, Milano, Mantova, Genova e Berlino su richiesta dell’Ambasciata italiana) la mostra “Io qui sottoscritto – Testamenti di grandi italiani” per rievocare, attraverso la raccolta delle ultime volontà, i grandi valori che caratterizzano il volto umano di personaggi storici che si sono distinti dall’unificazione ad oggi. Sono stati oltre 20.000 i visitatori, per lo più studenti.

Tra i testamenti esposti vi sono anche due lettere dell’editore modenese ebreo Angelo Fortunato Formiggini, uomo attento e curioso, dotato di un particolare senso dell’humor, che decise di lanciarsi dalla Ghirlandina di Modena in seguito alla promulgazione delle leggi razziali.

Dalla biografia presente nel catalogo:

… ‘Il 4 luglio 1938, come è stato già ricordato, viene pubblicato il manifesto “Il Fascismo e i problemi della Razza” col quale il regime annuncia il programma delle leggi razziali, promulgate tra il settembre ed il novembre del 1938, dalle quali il Formiggini fu duramente colpito sotto il profilo del lavoro editoriale ed economico, ma soprattutto nella sfera umana e spirituale.

Angelo Fortunato Formiggini, “modenese di sette cotte”, come ha voluto fosse scolpito nella targa di dedica della sua “Biblioteca del ridere” e dei suoi Archivi alla Biblioteca Estense di Modena, e  “italiano sette volte”, sente la sua esclusione dal suo mondo di editore e da una cittadinanza fortemente sentita come una iniqua condanna a morte, che lucidamente esegue, con lo spirito che ne ha segnato la vita.

Il suo atto di lanciarsi dalla Ghirlandina di Modena, luogo simbolo della città, accanto al monumento di Alessandro Tassoni, quella mattina del 29 novembre 1938, più delle lettere che teneva nella tasca, più delle disposizioni scritte negli ultimi mesi di preparazione del gesto, è testamento ed estrema protesta di libertà’.

Vorrei quindi leggervi la lettera indirizzata alla moglie che è pubblicata nel catalogo e che abbiamo esposto a Modena in occasione del festival della Filosofia.

A Emilia Formiggini Santamaria

Modena, 29 novembre 1938

Viaggio triste ieri per averti lasciato per sempre, triste perché ho trovato in treno un mio antico amico veneziano che si trovava nelle mie stesse condizioni di spirito. Ma ieri sera tanto di cotoletta con tartufi e di lambrusco. Sono andato allo (teatro) Storchi, ma era pienissimo ed io ero lontano e non sentivo quasi nulla. Dopo il primo atto sono andato a letto senza aver capito di che cosa si trattasse.

Ho dormito meglio del solito: come il solito, emulo di quel tale che dormì saporitamente prima della battaglia. Nelle ore di veglia una calma ed una serenità assolute: non lo avrei mai pensato né potuto sperare. Finora è stato come bere un uovo e spero ormai che sarà così sino alla fine imminentissima.

Copia la lettera per Musso e mandagliela: la copia la metterai nell’archivietto dopo la lettera ai soci dell’anonima.

Ecco: me ne vado. Sta’ certa che l’ultimo mio pensiero sarà per la mia famiglioletta. Grazie per la vostra devozione e per la vostra fedeltà.

Estrema raccomandazione: siate rassegnati alla mia sorte, non fate recriminazioni. Non guastatemi le uova nel paniere. Per sempre vostro.

Papà”

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