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Lo studio affronta il tema della pubblicità sanante non solo evidenziando e rivalutando il ruolo affidato dal Legislatore all’art. 2652 n.6 c.c. quale argine degli effetti della pronunzia di invalidità del titolo di provenienza del dante causa sui successivi atti dispositivi del medesimo bene, in chiave stabilizzatrice della circolazione immobiliare, ma anche inquadrando e meglio definendo il suo rapporto con la funzione del notaio, custode della legalità e della certezza dei traffici commerciali, e con il dovere di informazione del cliente.
Il meccanismo della pubblicità sanante va concepito come il rimedio estremo cui si può ricorrere solo quando non si intravedono «vie d’uscita» differenti, soluzioni pratiche alternative, razionali e concretamente realizzabili che possano garantire il ripristino della piena certezza ed affidabilità dei traffici giuridici. È un rimedio il cui utilizzo richiede un grado di cautela, attenzione e ponderazione nella valutazione dell’assetto complessivo degli interessi emergenti nel caso concreto non codificabile ex ante. Dall’altro lato, si tratta, tuttavia, di uno strumento espressamente previsto dal legislatore che, pertanto, ciascun interprete può far rientrare nel proprio bagaglio professionale ed operativo, da non relegare all’assoluta irrilevanza e totale mancanza di una seppur minima utilità.
Il meccanismo della pubblicità sanante non sana alcunché. Il che val quanto dire che l’atto viziato da invalidità diviene definitivamente invalido a seguito del passaggio in giudicato della sentenza che accoglie la domanda di nullità o di annullamento, con la conseguenza che il titolo di acquisto successivo del terzo avente causa è a non domino, perché, fondandosi su un atto invalido, nasce e resta inefficace. Ma la pubblicità sanante blocca l’estensione degli effetti della sentenza, di modo che il terzo mantiene la titolarità del diritto, benché il suo titolo sia divenuto, appunto, inefficace a causa dell’invalidità del titolo anteriore.
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