Con il “patto di convivenza” chiunque potrebbe liberamente pianificare consapevolmente il proprio rapporto di convivenza, nel caso in cui abbia optato per una forma di convivenza diversa dal matrimonio.
Oggetto e disciplina del patto di convivenza. Di cosa si tratta?
La proposta di legge istituisce il “patto di convivenza”: un contratto a cui chiunque può liberamente ricorrere per pianificare consapevolmente il proprio rapporto di convivenza, nel caso in cui si è optato per una forma di convivenza diversa dal matrimonio.
Punto centrale della proposta è dunque il contratto, basato sulla libera volontà delle parti, che ha per oggetto la disciplina dei rapporti patrimoniali relativi ad una vita in comune. La proposta, invece, non riconosce automaticamente diritti e doveri derivanti da una situazione di fatto, quale è la semplice «unione di fatto» o convivenza.
Nel patto di convivenza le parti possono disciplinare:
- le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune
- la messa in comunione ordinaria dei beni acquistati a titolo oneroso anche da uno solo dei conviventi;
- i diritti e obblighi di natura patrimoniale a favore dei contraenti allo scioglimento del patto di convivenza;
- la possibilità di attribuire al convivente una quota di eredità non superiore alla disponibile (derogando al divieto dei patti successori), a condizione che la morte del contraente avvenga dopo almeno nove anni di convivenza.
Inoltre possono essere previsti diritti e doveri di assistenza, informazione e misure di carattere sanitario e penitenziario, con possibilità di affidare al convivente, in caso di sopravvenuta incapacità di intendere e di volere, le decisioni relative allo stato di salute, al trattamento del corpo, ai funerali ed alla donazione degli organi.
L’atto va stipulato in forma pubblica a pena di nullità davanti al notaio, che provvederà alla trascrizione nel Registro unico nazionale dei patti di convivenza istituito a cura del Consiglio Nazionale del Notariato.
Scopo della proposta. Quali vantaggi derivano?
Il dibattito sui «patti di convivenza» non ha avuto fino ad oggi in Italia adeguati sbocchi legislativi a causa della mancanza di univocità di intenti, determinata soprattutto dalla coesistenza nel nostro Paese di tradizioni, culture e ideologie differenti, che prospettano ipotesi di assetto della società e dello Stato molto diverse, spesso confliggenti con l’anima cattolica della grande maggioranza degli italiani.
La proposta del Notariato non propone l’allargamento «sic et simpliciter» del concetto di famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna ad altre forme di convivenza che, di fatto, la contraddicono nello spirito e nella sostanza, ma prospetta soluzioni adeguate a nuove esigenze della società.
In un Paese a democrazia liberale avanzata, rispettoso di tutte le sensibilità e le culture e al passo con i tempi, si deve riconoscere al cittadino il diritto di scegliere, nell’organizzare la propria esistenza, tra:
a) il matrimonio (civile e/o religioso) con la sua disciplina pubblicistica inderogabile;
b) un patto di convivenza liberamente disciplinato e sottoscritto, con la previsione di diritti e doveri, alcuni dei quali non derogabili;
c) la semplice convivenza «di fatto», dalla quale nessun diritto od obbligazione reciproca può derivare, non avendolo i conviventi voluto, come dimostra la mancata formale sottoscrizione del patto.
Diversamente, far derivare ex lege effetti giuridici da un semplice comportamento concreto quale la convivenza, oltre che mettere a rischio diritti e interessi di terzi, significherebbe violare, per eccesso di tutela, il diritto dell’individuo di organizzare la propria vita in maniera del tutto libera, svincolata – nella misura in cui non superi la sfera di rapporti inter partes e non urti contro l’ordine pubblico e il buon costume – da regole imposte dall’alto.